Anatocismo bancario: quantificazione pretesa.

La Corte di Appello di Taranto ribalta la sentenza del Tribunale e condanna la Banca a pagare ad un’azienda € 78.443,43 per anatocismo cioè per illegittima capitalizzazione degli interessi.

La Corte di Appello di Lecce, Sez. distac. Di Taranto, riforma la sentenza del Tribunale di Taranto e condanna la Banca al pagamento in favore del correntista della somma di € 78.443,43, oltre interessi legali, per anatocismo.

In particolare, la Banca nel 1991 aveva concesso un’apertura di credito in conto corrente ad una società in nome collettivo (s.n.c) della provincia di Taranto; a tale rapporto aveva fatto seguito nel 1999 l’accessione di altro conto corrente intestato ad un’altra società a responsabilità limitata (s.r.l.), i cui soci appartenevano allo stesso gruppo familiare della prima società.

La Banca dopo alcuni anni aveva revocato gli affidamenti concessi alla s.r.l. invitando la medesima società nonché i suoi fideiussori al rimborso della somma di € 19.998,86, oltre interessi ed accessori.
Il Tribunale di Taranto, con decisione resa nell’anno 2014 riduceva la pretesa della Banca nei confronti della società s.r.l a € 8.982, 79, ma rigettava la domanda di pagamento che la s.n.c. aveva formulato sul presupposto di avere corrisposto somme di denaro non dovute per effetto della nullità parziale del contratto di conto corrente in relazione alle clausole di capitalizzazione trimestrale -anatocismo-  degli interessi e di rinvio agli usi piazza. Ciò in quanto riteneva che la domanda fosse inammissibile, non avendo la società con l’atto di citazione richiesto l’importo di € 78.443,43, importo che veniva determinato a suo credito a seguito della consulenza tecnica d’ufficio.

La Corte d’Appello di Taranto con la sentenza n. 441/ 2018 ha rilevato che , al contrario di quanto sostenuto dal Tribunale, la domanda era stata regolarmente proposta giacché nell’atto di citazione era stato precisato che l’ importo iniziale richiesto doveva essere determinato “più precisamente a mezzo CTU”.
La Corte ha quindi affermato il principio per cui anche se in prima approssimazione la quantificazione della pretesa è indicata in una somma inferiore, rimane tuttavia possibile ampliare la quantificazione sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio. Conseguentemente ha condannato la Banca, a favore dell’azienda, al pagamento, a titolo di indebito, dell’importo di € 78.443,43, oltre interessi e spese.

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