L’usurarietà può essere rilevata anche se le rate del mutuo sono state regolarmente pagate.

La Suprema Corte, con una recente sentenza del 30/01/2018 n. 2311, ha riaffermato il principio secondo il quale il rapporto diventa gratuito unicamente laddove le condizioni pattuite siano originariamente usurarie (cioe superiori al tasso soglia), richiamando la pronuncia del 19 ottobre 2017, n. 24675 delle Sezioni Unite che ha negato ingresso alla configurabilità della c.d. usura sopravvenuta.

La Suprema Corte di Cassazione ha, infatti, ribadito che l’esistenza dell’accordo usurario nel mutuo va verificato sulla base “dei tassi di interesse pattuiti al momento della stipula del contratto”. Se invece il tasso degli interessi supera, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula (Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., 30-01-2018, n. 2311).

Dunque, se il carattere usurario dei tassi di interesse va accertato solo al momento in cui questi sono stati pattuiti, deve ritenersi che tale principio trovi applicazione anche per gli interessi moratori che per giurisprudenza costante di legittimità sono da considerarsi usurari qualora superiori al tasso soglia. Ne consegue che non può essere condiviso l’orientamento di alcuni giudici di merito che ritengono applicabile la sanzione di cui all’art. 1815 c.c. (che prevede la gratuità del mutuo) solo se in concreto si sia verificato l’inadempimento del mutuatario e, conseguentemente, sia maturato un suo debito a titolo di “interesse moratori”. Tale tesi, infatti, presuppone una valutazione dell’usurarietà del rapporto in un momento successivo alla pattuizione e, quindi, come tale, non è consentita.

Depone in tal senso il chiaro tenore letterale della norma d’interpretazione autentica di cui all’art. 1 del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., dalla l. n. 24 del 2001): “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento (delle rate)”.

Ne deriva che anche se il mutuatario è in regola con il pagamento delle rate, può chiamare in giudizio la Banca per far dichiarare l’usurarietà del rapporto. Il principio stabilito dalla normativa antiusura è che chiunque presti denaro non può farlo facendosi promettere degli interessi che complessivamente intesi (e, quindi, comprensivi anche degli interessi moratori, delle commissioni, delle altre remunerazioni e delle spese connesse, escluse quelle per imposte e tasse) superano il tasso soglia. Può quindi concludersi che l’art.1815, comma 2°, c.c. esprime un principio giuridico valido per tutte le obbligazioni pecuniarie e che si applica a qualunque somma dovuta a titolo di interesse, legale o convenzionale, sia agli interessi corrispettivi che agli interessi moratori, indipendentemente dal loro pagamento.

   Cass. civ. – Sez. VI -n. 2311/2018 – rate